Nelle scorse settimane abbiamo pubblicato le prime due parti del documentario d’inchiesta sulla Fabian Society. La prima sulla storia, sulla strategia di infiltrazione all’interno delle istituzioni e sui suoi punti cardini socialisti e riformisti. Nella seconda, partendo dalla London School of Economics and Political Science (LSE), abbiamo tracciato una mappa per determinare il dilagare dei fondamenti fabiani nella politica occidentale, specialmente in quella italiana. Attraverso un’intensa ricerca e grazie al grande contributo del libro di Davide Rossi, siamo riusciti a far emergere i rapporti tra l’ex Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana ed ex Ministro degli affari esteri, Massimo D’Alema, l’attuale Ministro della Salute, Roberto Speranza, e l’intero universo fabiano.
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Ma quali sono i mezzi di diffusione dei principi globalisti fabiani? Vediamolo insieme in questa ultima parte del documentario d’inchiesta.
Tra gli strumenti più utilizzati, c’è senza ombra di dubbio la carta stampata, che già dal 1930 ricopre un ruolo centrale nella propaganda dell’associazione in questione. Tra le più importanti e longeve riviste, ne spicca una: “New Statesman”, una rivista politica e culturale britannica, nata da alcuni storici esponenti della Fabian Society.
Il 12 aprile 1913, furono Sidney e Beatrice Webb, con il supporto di altri membri di spicco della Fabian Society come George Bernard Shaw ed Herbert George Wells, a fondare “New Statesman”, rivista tuttora attiva in formato digitale.
Il suo editore più longevo fu Kingsley Martin, dal 1930 al 1960. In questi trent’anni il New Statesman divenne il principale settimanale intellettuale della Gran Bretagna, spostandosi politicamente sempre più a sinistra. Martin fu infatti un grande ammiratore di Stalin e dell’Unione Sovietica, tanto da pubblicare nel 1932 un libro dal titolo “Low’s Russian Sketchbook”, frutto del suo viaggio in Russia. Volume che mostrava ammirazione per l’attività economica del Partito Comunista Sovietico. Nel 1938, però entrò in contrasto con George Orwell. Quest’ultimo rimase fortemente deluso dal rifiuto di Martin di pubblicare i suoi dispacci durante la guerra civile spagnola, solo perché criticavano i comunisti per aver attuato una repressione contro gli anarchici e contro il Partito operaio di sinistra dell’unificazione marxista. Orwell infatti non fu mai uno stalinista, ma un socialista puro, più vicino al pensiero di Trotsky.
Martin si ritirò nel 1960 e fu sostituito come redattore da John Freeman, ex ufficiale dell’esercito britannico e – guarda caso – membro laburista del Parlamento per Watford dal 1945 al 1955. Ad egli successe poi lo scrittore e storico Paul Johnson, molti anni dopo divenuto conservatore, il quale guidò la redazione fino al 1970. ‘New Statesman’ acquisì il settimanale New Society nel 1988 e si fuse con esso, diventando New Statesman and Society per otto anni, salvo poi tornare al vecchio titolo. Nel 1991 assorbì inoltre Marxism Today, ovvero una rivista teorica del Partito Comunista di Gran Bretagna, disciolto nello stesso anno e riciclato nell’ambito della sinistra socialdemocratica.
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Dopo un periodo di crisi, nel 1996 il giornale fu venduto a Geoffrey Robinson, un deputato laburista e uomo d’affari. Quest’ultimo nominò alla guida della rivista Ian Hargreaves, il quale la trasformò in un forte sostenitore della leadership di Tony Blair per il partito laburista. Ricordiamo sempre che Blair è il dichiarato fabiano che nel 2006 inaugurò il restauro della Fabian Window presso la LSE.
Come abbiamo potuto osservare fino ad ora, negli anni sono sempre stati molti i contatti con l’area più di sinistra della politica. Nel 2009 addirittura la rivista fu curata dal politico laburista Ken Livingstone, ex sindaco di Londra. Nel 2016 invece l’ex primo ministro britannico, Gordon Brown, ha curato un’edizione speciale sulle relazioni della Gran Bretagna con l’Europa, alla vigilia del referendum per la Brexit.
Facendo un passo indietro, nel dicembre 2011 la rivista venne curata anche da Richard Dawkins e il numero festivo incluse l’intervista finale dello scrittore Christopher Hitchens – dichiarato marxista e socialista democratico considerato come membro attivo della corrente del nuovo ateismo antiteista – il tutto condito da una rubrica incentrata su particolari personaggi, come il filantropo Bill Gates e Sam Harris, filosofo, saggista e neuroscienziato statunitense, considerato uno dei principali esponenti del nuovo ateismo e sostenitore dell’uso di sostanze psichedeliche come l’LSD.
Ad oggi “New Statesman”, nonostante abbia subito un declino, resta un punto di riferimento per la sinistra radical chic inglese. Lo stesso direttore, Jason Cowley, lo ha descritto come una pubblicazione “di sinistra” e “per la sinistra”.
Le sue battaglie oggi sono quelle immancabili in ogni ambito progressista: a favore della teoria Gender, contro il cambiamento climatico e a favore della transizione digitale. Tutto dimostrabile dagli stessi articoli reperibili sul sito. Uno su tutti pubblicato il 2 giugno 2021 dal fabiano Gordon Brown, eclatante nelle ultime righe: “sessant’anni fa il Presidente Kennedy ha invitato gli Stati Uniti a trascendere la propria dichiarazione di indipendenza con una dichiarazione di interdipendenza globale. I leader di oggi devono dimostrare un’audacia simile se vogliamo costruire un mondo più sano, più sicuro, più verde e più equo”. Ecco dunque il ritornare costante del desiderio di un nuovo mondo dopo la fase emergenziale, reimpostato su schemi precisi.
Seppur di tanto in tanto tra le righe degli articoli del New Statesman ci siano delle riflessioni che lascino trasparire un minimo di senso critico verso la deriva che la società sta prendendo, la posizione è chiara e netta. Gli argomenti enfatizzati sono quelli tipici della propaganda a senso unico. Le pagine sono infatti colme di titoli sensazionalistici, volti a destare allarmismo nei cittadini.
Ci sono molteplici articoli dedicati alla lotta alla presunta “disinformazione”, che sarebbe causata dai non allineati agli attuali diktat. Si arriva persino a demonizzare intere fette di popolazione con locuzioni come: “minaccia mortale”. Ovviamente non possono mancare anche delle riflessioni sul recente cambiamento del rapporto con il lavoro, il tempo libero, il welfare e l’assistenza. Il tutto adornato da parole chiave “Reset” e locandine visibilmente propagandistiche in accompagnamento al testo.
Data la natura della rivista, è scontato sottolineare il rilievo che ricopre la narrativa green e ‘greteggiante’. Sono infatti numerosi i titoloni celebrativi nei confronti della paladina dell’ambiente svedese: Greta Thunberg.
L’obiettivo dei fabiani è sempre stato quello di trasformare drasticamente la società, motivo per cui nel 1884 diedero vita alla Fabian Society stessa, che nel tempo ha tessuto una fitta tela in tutto l’occidente, coinvolgendo uomini politici, informazione ed altri settori strategici della società.
Naturalmente l’universo della Fabian è solo uno dei tanti tasselli che compongono il quadro di quello che può essere definito “Nuovo Ordine Mondiale”, tanto per citare il titolo del romanzo del fabiano Wells. Eppure è sicuramente tra i più influenti.
Il fulcro del pensiero di questa società viene d’altronde palesato perfettamente nella Fabian Window, la vetrata progettata da George Bernard Shaw. Ebbene, in cima alla raffigurazione dei fondatori della Fabian Society che danno forma al mondo, c’è tutt’ora una frase cruciale: “Remould it nearer to the hearts desire”, ovvero “ Rimodellare nel modo più vicino al desiderio del tuo cuore”.
Dinanzi ad una realtà fatta di terrorismo mediatico e psicologico h24, di guerra fratricida, di attacco al pensiero divergente, ovvero di sovversione totale, è facile comprendere che ci troviamo nel mezzo di un mondo rimodellato a piacimento di una mano invisibile. Invisibile, ma non troppo per chi ancora sa guardare per vedere.
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🔴 Acquista il saggio d’inchiesta “Fabian Society – L’organizzazione che ha rimodellato le società europee su presunte basi socialiste riformiste attraverso manipolazione e infiltrazioni politiche occulte spinte da propaganda mediatica globalista” di Francesco Mastrobattista, a cura di Eugenio Miccoli per Millimetro Zero Edizioni.