Penseresti di essere membro di una “folla” mentre sei sul divano di casa tua e stai scorrendo i post sul tuo social media preferito? Naturalmente no. È anche normale che la parola folla non inneschi in te nessun tipo di pensiero relativo alla produzione della lana. Eppure il termine folla è strettamente legato a entrambi questi concetti e tenteremo di spiegarne il perché.
Spiegare il nesso con la lana è semplice, basta il vocabolario che definisce il termine ‘folla’ come «una moltitudine di persone addensata in un luogo, talora in senso spregiativo», e subito dopo specifica in modo molto dettagliato anche da dove arriva questa parola. Si tratta di una derivazione del verbo follare, un’operazione meccanica del processo di finissaggio dei tessuti di lana che si effettua per compattare il tessuto e che in alcuni casi può addirittura renderlo impermeabile. Con questa operazione di battitura e sfregamento le piccole intercapedini presenti nei punti di intersezione tra i fili di trama e quelli di ordito si chiudono, creando una compenetrazione generale delle microscopiche squame corticali che rivestono la superficie dei fili di lana. È un processo progressivo e irreversibile, e si può applicare a tutti i tipi di tessuto realizzati con lana o altri filati contenenti pelo come il cashmere o l’alpaca.
L’immagine più tipica quando evochiamo la parola folla è quella di una massa informe ma compatta di persone, generalmente all’aperto. Se si pronuncia la parola folla c’è chi pensa al famoso quadro raffigurante il quarto stato, c’è chi pensa alle masse di rivoltosi che imperversavano per le strade parigine durante la Rivoluzione Francese, e chi invece fa riferimento visualmente alle grandi adunate tipiche dei regimi totalitari del secolo scorso. Di sicuro nessuno si immagina una persona singola, isolata dall’ambiente circostante mentre è completamente risucchiata dallo schermo del proprio telefono.
Eppure noi, mentre partecipiamo ai grandi processi della vita digitale moderna, siamo, di fatto, parte di una o più folle. Proprio così, l’era delle folle non è certo finita con la morte dei totalitarismi, ne si è esaurita con lo spegnersi delle grandi ideologie del ‘900. No, l’era delle folle teorizzata da Le Bon prosegue, e da questo libro abbiamo molto più da imparare noi di quanto ne avessero i vari Roosevelt, Mussolini o Lenin.
Il motivo è semplice: la folla non va intesa come un determinato momento nella storia dell’Uomo, bensì come una delle unità base su cui si articolano, da diverso tempo, le nostre civiltà.
Già dal primo capitolo del libro possiamo notare che la definizione di folla fornita dallo stesso Le Bon sia perfettamente applicabile alle dinamiche dei moderni gruppi sociali che troviamo online:
«La singola personalità cosciente svanisce, mentre i sentimenti e le idee di tutte le individualità si orientano in una stessa direzione. Si forma un’anima collettiva, senza dubbio limitata nel tempo, ma che presenta caratteri ben precisi. Questa collettività diventa allora quello che, in mancanza di una migliore espressione, io chiamerei una folla organizzata, o, se lo preferite, una folla psicologica. Essa si configura come un’unica unità e si trova sottomessa alla legge dell’unità mentale delle folle.»
Insomma, per un certo periodo limitato di tempo perdiamo la nostra individualità cosciente, ed entriamo nel dominio di una legge ben più grande di noi, che ci orienta e tende a farci assumere i modelli di pensiero e di comportamento propri del gruppo in cui siamo inseriti. Per quanto risulti tutto già evidente da questo singolo paragrafo, lo scopo di questa espansione sarà appunto dimostrare come tutto quello che Le Bon ha teorizzato sulle folle fisiche, si applichi perfettamente anche agli agglomerati di persone online: le folle digitali, appunto.
A tal proposito, se vuoi leggere la nuovissima traduzione dell’opera di Gustave Le Bon con riferimento alle folle digitali, acquista la versione più moderna a cura di Giò Fumagalli per le Edizioni The Strategic Club. Corredata dalla prefazione del fondatore di MePiù, Eugenio Miccoli, e dalla postfazione dello stesso Fumagalli, troverai delle analisi profonde sulla società odierna.
Prima dell’avvento della piazza digitale (il web), la folla si radunava in un luogo fisico. Che fossero le strade, il mercato, la piazza o altri luoghi. Trasportati dalla prossimità fisica, le menti e gli spiriti delle persone in stato di folla subivano l’influenza della massa.
Ebbene le persone, quando sono online, non fanno niente di nuovo rispetto a quando internet non era ancora presente nelle loro vite. Fanno esattamente quello che facevano (e continuano comunque a fare) offline. Quello che invece cambia sono le dinamiche pratiche con cui le persone interagiscono e si raggruppano tra di loro, dinamiche che sono – per definizione – influenzate dai mezzi e dai luoghi attraverso cui avviene l’interazione.
Infatti, quello che un tempo era un luogo fisico, ovvero il luogo in cui la folla si ammassava ed iniziava a esistere in quanto tale, oggi è diventato un luogo digitale, un posto in cui le persone si ammassano comunque, ma con modalità differenti. La vera piazza del XXI° secolo è il web, e questo passaggio di testimone è sancito ogni giorno da diversi dati di fatto. Per citarne uno: nel dopoguerra, le manifestazioni di piazza erano un ottimo mezzo per contarsi, farsi sentire o mandare un messaggio. Oggi invece, quel tipo di dimostrazione di forza ha ormai ceduto il passo alla manifestazione di potere online. Views, like, firme a petizioni digitali, follower e condivisioni hanno un peso fattuale molto più importante delle persone che si riescono a mettere in una piazza, indipendentemente che le stime sull’affluenza alla manifestazione siano date dagli organizzatori o dalla questura.
In questo contesto la massa agisce sulla spersonalizzazione momentanea dell’individuo non più attraverso la presenza fisica degli altri individui che compongono la massa, ma attraverso un altro tipo di presenza: quella generata dalla ripetizione. Un tempo l’osmosi attraverso cui l’individuo perdeva le sue peculiarità individuali e diventava componente della folla, avveniva per vicinanza, assimilando per contatto le caratteristiche della massa da cui veniva inglobato. Internet ha però annullato le distanze e con esse la necessità di prossimità, riuscendo a rendere qualsiasi cosa vicina. Online, le persone non diventano più folla grazie alla prossimità (che è ovunque) ma generano la massa necessaria per diventare folla attraverso la ripetizione di determinati messaggi, di determinati sentimenti, di determinate suggestioni e di determinate azioni. L’assembramento che dà vita alla massa digitale è un assembramento che avviene quando i like crescono, i follower aumentano, le condivisioni o le views danno vita a fenomeni di viralità. L’individuo perde la propria individualità e si assimila alla folla attraverso un’osmosi che non passa più dalla prossimità, ma dalla ripetizione: tutti condividono contenuti relativi ad un certo argomento e quindi li condivido anche io; tutti seguono una determinata figura pubblica e quindi inizio ad ascoltarla anche io; tutti si indignano per un fenomeno e di conseguenza il senso di indignazione cresce anche dentro di me. Pensaci, quante volte hai aperto un social media assolutamente sereno e lo hai chiuso in uno stato completamente alterato solo perché sei stato esposto ad un certo tipo di contenuto in maniera ripetuta?
In passato, la speranza di vita di una folla aveva un formato lineare, uniforme, era dotata di un inizio e di una fine. Oggi invece la vita di queste folle digitali è un fenomeno molto differente: come uno sciame che si forma e si dissolve senza mai realmente morire, la folla digitale passa da picchi di attività a momenti di latenza senza alcun tipo di soluzione di continuità: in altre parole la folla digitale non viene mai realmente dispersa.
Nonostante questo tuttavia, gli effetti e i risultati prodotti da queste folle digitali sono i medesimi: una folla digitale oggi può chiedere e ottenere la testa del potente di turno tanto quanto poteva farlo cento anni fa. Ed esattamente come la folla dei secoli passati poteva anche rendersi responsabile di gesti estremamente elevati, così anche la folla digitale può essere a volte meritevole di lodi. La differenza tra folla fisica e folla digitale sta tutta nel metodo. Se un tempo per intimidire un sovrano ci si radunava sotto la sua reggia, oggi è sufficiente radunarsi sulle sue pagine social. Se cinquant’anni fa bisognava essere in tanti a protestare (ed evitare di essere sgomberati), oggi bastano pochi attimi online nella vita individuale e isolata di ognuno per dare il proprio contributo a quella pressione collettiva che è in grado di detronizzare chiunque. La massa e le dimensioni sono state sostituite dalla ripetizione, numerica o temporale che sia. Le aziende, le personalità e le organizzazioni che hanno compreso questo principio, hanno imparato a tenere monitorati ben da vicino tutti i parametri relativi alla ripetizione di un’idea o di un messaggio, lavorando molto di più sui concetti come quello di ritmo a discapito di altri concetti come quello di massa critica.
Partendo da questi presupposti che rendono uniche le folle digitali, nel prossimo servizio passeremo ad analizzare, attraverso esempi pratici, le analogie che rendono il lavoro di Le Bon ancora attuale anche per chi muove i propri passi online.
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