La ripresa delle storiche ostilità tra Israele e Palestina, travolte ancora una volta da una nuova ondata di scontri violenti e sanguinosi, sembra annoverare tra le varie motivazioni anche un fatto apparentemente insignificante: il trasferimento di cinque giovenche rosse provenienti dagli Stati Uniti in Israele.
Tanto nel mondo islamico quanto in quello ebraico, che da decenni convivono a Gerusalemme in un equilibrio molto precario, l’evento è stato interpretato alla luce dei testi sacri, che parlano dell’importanza rituale di questo animale come elemento sacrificale: il ritrovamento di una giovenca rossa priva di difetti aprirebbe, infatti, la strada alla ricostruzione del Tempio di Gerusalemme, preparando all’avvento del Messia e, con esso, alla fine del mondo per come lo conosciamo.
I primi riferimenti in dichiarazioni ufficiali
Il 14 gennaio Abu Obaida – portavoce delle Brigate Al-Qassam, il braccio armato di Hamas – ha rilasciato una dichiarazione in cui ribadiva le motivazioni dell’attacco del 7 ottobre a Israele: durante il suo discorso, Obaida è stato il primo ad accendere i riflettori sulla vicenda, riferendosi all’arrivo delle giovenche rosse nella Palestina occupata come una provocazione inaccettabile agli occhi del mondo musulmano.
Una questione apparentemente trascurabile, però, se teniamo conto di una serie di dinamiche ben più pressanti come l’occupazione in corso, l’espansione degli insediamenti illegali nelle terre palestinesi, i migliaia di ostaggi palestinesi detenuti illegalmente nelle prigioni israeliane, il blocco e l’assedio di Gaza ma anche gli accordi di normalizzazione tra Israele e gli Stati Arabi.
Da un lato, Benjamin Netanyahu usa riferimenti biblici espliciti citando, tra le altre cose, anche la Profezia di Isaia; dall’altro, i fondamentalisti islamici ricorrono più o meno allo stesso registro.
Cosa succedendo davvero? Per cercare di capire quale sia il nesso che collega questo innocuo animale al pericolo imminente della fine dei tempi è necessario, indubbiamente, procedere per gradi.
Introduciamo brevemente il contesto storico
Buona parte degli osservatori insiste da tempo sul fatto che il conflitto israelo-palestinese sia, prima di tutto, un conflitto geopolitico che racconta una lunga storia di colonialismo. Ciononostante, negare il sottotesto religioso appare impossibile.
Nel cuore della città di Gerusalemme, venerata dalle tre religioni abramitiche (ossia Ebraismo, Cristianesimo e Islam) sorge il complesso della moschea di Al-Aqsa, al cui centro si trova il santuario della Cupola della Rocca: Al-Aqsa rappresenta il terzo luogo più sacro dell’Islam e corrisponde a quello che gli ebrei denominano Monte del Tempio, celebrato come il luogo dove anticamente sorsero il primo e il secondo tempio.
Il primo Tempio, costruito dal re profeta Salomone, venne distrutto dai babilonesi quando Nabucodonosor conquistò Gerusalemme, per essere poi ricostruito in un secondo momento dal re Erode e quindi nuovamente distrutto dai romani nel I secolo d.C., quando conquistarono la città.
Il Tempio ricopre un ruolo centrale per la fede ebraica, soprattutto se si considera che attorno ad esso ruota circa un terzo dei comandamenti contenuti nella Torah, perciò il dibattito interno su se, come e quando potrà essere ricostruito non può che essere ancora molto vivo.
Da un punto di vista teologico, tuttavia, il mondo ebraico appare frammentato al riguardo, tanto che il progetto di ricostruzione sembra essere perlopiù un’aspirazione espressa da grandi porzioni del sionismo nazional-religioso: la ricostruzione del Tempio e l’arrivo del loro Messia sono eventi che, secondo gli ebrei sionisti, avranno certamente luogo e permetteranno alla fede ebraica di ottenere il proprio riscatto.
Il popolo ebraico non desidera solo ricostruire i fasti del suo regno ma anche ristabilire il proprio rapporto con Dio: si crede, in effetti, che Dio abbia abbandonato il Primo Tempio ben prima che fosse conquistato e distrutto perciò, il rapporto diretto tra la divinità e il popolo eletto, in un certo senso, si è interrotto. Di conseguenza, la ricostruzione del Tempio diverrebbe un requisito essenziale per poter sanare questa ferita e ricomporre l’antica alleanza.
L’idea di fondo è che la sofferenza ebraica derivi dal fatto che gli ebrei non abbiano saputo adempiere ai comandamenti impartiti dal Dio, in particolare alla prescrizione di estraniarsi dal resto dell’umanità, allontanandosi in questo modo dalla loro stessa legge. Quindi, affinché Dio rispetti il patto, il Tempio deve essere ricostruito, richiamando la venuta del Messia.
Tutto questo è rimasto fuori dalla loro portata per migliaia di anni fino a quando, nel 1967, Israele riuscì a sottrarre Gerusalemme agli arabi: molti lo considerarono un evento ordinato da Dio e un passo necessario verso la riedificazione del Tempio Santo.
Resta, comunque, un problema enorme: per adempiere al volere divino, il Tempio deve essere riedificato proprio sul sito originario e ciò implica che il complesso di Al-Aqsa, sacro all’Islam, debba essere distrutto.
In questa ottica, risulta più chiaro il motivo per il quale, nonostante controlli Gerusalemme da oltre 60 anni, Israele sia stato silenzioso riguardo a qualsiasi intenzione di ricostruire il Tempio che, con ogni probabilità, sarebbe stata recepita come una grande provocazione e avrebbe potuto scatenare una guerra con il mondo musulmano.
L’attivismo di gruppi e organizzazioni dedicate
Dietro le quinte, tuttavia, agiscono vari gruppi e movimenti nati proprio allo scopo di portare a compimento l’immane progetto di riedificazione del Tempio. Uno di questi, il Temple Institute, lavora da anni alacremente all’istruzione, alla ricerca e alla sua preparazione effettiva, raccogliendo fondi e costruendo relazioni internazionali per facilitare la ricostruzione del Tempio e intessendo rapporti, ad esempio, con i cristiani evangelici che vedono nella sua riedificazione il preludio necessario al ritorno di Cristo e al Giorno del Giudizio.
Per entrambe le confessioni questo animale assume un rilievo preminente rispetto al futuro dell’umanità: per entrambi il Tempio deve essere ricostruito e questo li mette in netto contrasto con il mondo musulmano, principalmente con il popolo palestinese, che storicamente si considera il custode della moschea di al-Aqsa.
Dopo decenni di occupazione e di crescente vessazione del popolo palestinese, le richieste per la ricostruzione del Tempio si sono fatte sempre più forti e pressanti: alcuni anni fa, anche solo discutere di questa possibilità sarebbe stato considerato fanatismo mentre oggi non è più un’idea di nicchia, al punto che esiste persino una componente della Knesset – il parlamento monocamerale israeliano – che rivendica il diritto di pregare sul Monte del Tempio.
Le cose stanno cambiando molto rapidamente: la polizia israeliana non starebbe più fermando o arrestando le decine di ebrei che, in osservanza al comandamento della “Hishtachaviah”(Prostrazione), andavano a inchinarsi ad HaShem sul Monte del Tempio. Questa espressione di devozione ha avuto un ruolo cruciale nei momenti più significativi della storia di Israele, perciò questa nuova politica di tolleranza – non sappiamo ancora se permanente – segna nell’immaginario collettivo di un certo gruppo di persone, un ulteriore passo avanti verso la messa del opera del progetto del Tempio Sacro.
Chiarito il contesto storico, potrebbe essere utile tentare di capire cosa c’entra tutto questo con delle mucche rosse.
La profezia biblica: origini, significati e risvolti
La giovenca rossa è menzionata nel cap.19 del Libro dei Numeri, dove Dio impartisce a Mosè e al fratello Aronne il comandamento di un rituale di purificazione: secondo la teologia ebraica, il Tempio non può essere ricostruito finché gli ebrei non saranno purificati attraverso il sacrificio di una mucca giovane, di colore rossastro, senza difetti o macchie e che non sia mai stata aggiogata per lavorare (numeri 19:2).
Il rituale, che in origine era piuttosto semplice, è stato reso via via più complesso: la tradizione talmudica parla del tipo di corda con cui doveva essere legato l’animale, della direzione verso cui doveva essere sacrificato, delle parole pronunciate dal sacerdote mentre le regole rabbiniche stabilivano con accuratezza i casi in cui l’animale non fosse adatto al rito (es. se fosse stato cavalcato o se qualcuno vi si fosse appoggiato, se fosse stato coperto da un indumento, etc…).
Risulta piuttosto chiaro, quindi, che trovare l’esemplare perfetto sia stato molto difficile, per non dire impossibile, fino a quando, nel 2022, si è venuto a sapere di 5 esemplari apparentemente perfetti allevati in un ranch in Texas: il Temple Institute di Gerusalemme si è affrettato a spendere oltre 500.000 dollari per trasferirle in una fattoria segreta in Israele, dove proteggerle e accudirle.
Inoltre, se si tiene conto del fatto che le nove giovenche di cui siamo a conoscenza attraverso le scritture sono state sacrificate prima che il Tempio fosse distrutto per la seconda volta, appare ancora più centrale l’importanza della scoperta: la decima è tradizionalmente associata all’era messianica perciò, forse, la sua comparsa può essere letta come la prefigurazione dell’avvento del Messia che ne presiederà la preparazione.
Dopo duemila anni, gli ebrei scorgono finalmente i segni propizi.
Per prepararsi all’avvenimento, il Temple Institute e altri gruppi hanno predisposto ogni sorta di preparativo: il sacrificio deve essere fatto da sacerdoti che non siano solo ben istruiti a riguardo ma anche con una discendenza diretta dal profeta Aronne mentre, il luogo più adatto al rito, che deve avvenire a est del Monte del Tempio e intorno al Monte degli Ulivi perché si possa vedere dove sorgeva il Tempio, è già stato individuato e il terreno già acquistato.
Insomma, le intenzioni del Temple Institute appaiono abbastanza esplicite: sul loro sito web dichiarano che il Monte del Tempio appartiene legittimamente agli ebrei, che i palestinesi incarnano la versione moderna del popolo dii Amalek, una tribù che gli ebrei hanno distrutto migliaia di anni fa.
Questi sono solo alcuni dei preparativi di quello che ai nostri occhi potrebbe sembrare un rituale superstizioso, senza alcuna importanza al di fuori di quel mondo ma che, in realtà, potrebbe rappresentare l’innesco di un processo che faciliterà la distruzione del complesso di Al-Aqsa, scatenando un enorme scontro di civiltà: dopo il sacrificio, le ceneri dell’animale verranno mescolate con acqua e la mistura sarà utilizzata per purificare gli ebrei di Israele che potranno quindi procedere alla costruzione del Tempio con i materiali e gli ornamenti già pronti.
Un altro elemento non trascurabile è dato dagli scavi effettuati sotto il complesso di al-Aqsa per scopi archeologici, come sostengono gli israeliani, a cui i palestinesi però non hanno mai potuto prendere parte. Molti sono convinti che gli scavi nascondano in realtà un tentativo di indebolire le fondamenta della moschea per provocarne il crollo: si registrano, in effetti, numerose crepe sui muri e sui soffitti della moschea e qualsiasi tentativo di ripararli è stato ignorato o respinto dal governo israeliano, arrivando a livelli di scavo senza precedenti proprio sotto al complesso nel 2023.
Trasformare il Terzo Tempio in realtà, comunque sia, non è compito solo di qualche ONG che opera in Israele. Attorno a questa prospettiva si è organizzato un imponente movimento che sta diventando estremamente pervasivo all’interno della società israeliana e non solo: i soldati dell’IDF sono stati visti esporre bandiere e realizzare graffiti sulle case nella Striscia di Gaza, lasciando intendere quanto l’avvento di una nuova era sia prossimo.
Non tutti sono d’accordo
Come accennavamo all’inizio, è doveroso specificare che il mondo ebraico è frammentato al suo interno e che esiste una buona fetta della comunità ebraica, tanto all’estero quanto in Italia, fermamente contraria al progetto sionista dello Stato di Israele e queste divergenze di visione hanno prodotto anche recentemente molti scontri interni: l’ideologia sionista portata avanti da Israele – secondo cui gli ebrei, accomunati da un’appartenenza nazionale, avrebbero dovuto autodeterminarsi politicamente e lasciare le società europee (a cui non appartenevano) – è concettualmente in contrasto con la concezione dell’identità ebraica espressa dagli ultraortodossi, che considerano tradizionalmente gli ebrei un gruppo confessionale e spirituale, non una nazione separata. Il mondo cristiano, al contrario.
Non sembra particolarmente allarmato dalla possibile riedificazione del Tempio sebbene una parte di fedeli, memore della profezia biblica, ne teme la realizzazione perché consapevole del fatto che la sua ricostruzione anticipi tanto il ritorno di Gesù quanto l’avvento dell’Anticristo che, secondo la profezia, ne prenderà possesso durante la tribolazione, cercando di governare il mondo da lì.
Tirando le fila…
Nel quadro di queste considerazioni, il conflitto in corso non può essere ridotto allo scontro tra un gruppo ribelle e un occupante ma assumerebbe più i connotati di una guerra di conquista da parte di fanatici religiosi, allo stesso modo dei Crociati e dello Stato islamico, che potrebbe raggiungere proporzioni senza precedenti.
I palestinesi hanno avvertito così forte questa provocazione da citarla come movente per il 7 ottobre: non è stato solo un grido disperato al mondo perché prestasse attenzione alle condizioni del popolo palestinese, al contempo testimone e vittima della violenza prodotta dalle politiche del governo israeliano e del pesante indottrinamento attuato sulle future generazioni, ma è stato anche e soprattutto un avvertimento rivolto al mondo musulmano perché si accorgesse che uno dei suoi siti più sacri è attualmente sotto attacco, minacciato di distruzione.
I palestinesi sembrano aver capito che queste persone stanno lavorando per compiere la profezia escatologica e che l’evento chiave per innescare questa violenza, distruzione e caos, possa essere proprio l’edificazione del Terzo Tempio.
Giunti a questo punto, forse, dovremmo prendere in considerazione che tutto questo non sia così assurdo e magari riconoscere che possa riguardarci nonostante non ci coinvolga direttamente.
Proviamo anche solo a immaginare cosa provocherebbe la distruzione della moschea di al-Aqsa in un contesto fortemente instabile come il Vicino Oriente e, a cascata, al mondo intero: un tale evento avrebbe il potenziale non solo per allargare ulteriormente i conflitti che infuriano nell’area del Vicino Oriente ma potrebbe innescare, nel migliore dei casi, una crisi energetica ed economica, fino a raggiungere persino un’espansione del conflitto su scala globale.