Il governo di Kazakistan, guidato dal Primo Ministro Askar Mamin, si è dimesso in seguito alle numerose proteste contro il caro-gas. Ben 95 agenti delle forze dell’ordine sono rimasti feriti durante le sommosse e 200 persone sono state arrestate. Le forze di sicurezza hanno risposto ai manifestanti con lacrimogeni e granate assordanti per far allontanare i manifestanti dalla piazza principale di Almaty, la città più grande del Paese dove si sono concentrate maggiormente le sommosse e dove i manifestanti hanno assaltato e dato alle fiamme l’edificio del Comune. Ad Aktobe, una delle varie città teatro della strenua protesta, molti cittadini hanno addirittura assaltato e occupato il municipio con il benestare delle forze dell’ordine, che si sono rifiutati di arrestare i cittadini schierandosi con loro.
Il moto di protesta contro l’aumento del prezzo del gas si è sviluppato nel fine settimana a Zhanaozen, nel cuore della regione occidentale di Mangystau, salvo poi diffondersi. Non è servita a nulla la mossa del governo dell’abbassamento dei prezzi come risposta all’ira dei manifestanti.
In seguito ai disordini, il Presidente Kassym Jomart Tokayev ha imposto lo stato di emergenza ad Almaty e nella provincia occidentale di Mangystau, le zone che rappresentano il cuore finanziario, in quanto ricche di idrocarburi.
A comunicare le dimissioni del Governo è stato l’ufficio del presidente kazako Kassym-Jomart Tokayev. I ministri resteranno al loro posto fino a quando non sarà formato un nuovo esecutivo.
Intanto non è tardata una dichiarazione da parte di Mosca per voce del Ministero degli Esteri russo: “Stiamo seguendo da vicino la situazione”, ancora “non vi sono informazioni di cittadini russi feriti” nei disordini.
Sul tema abbiamo interpellato un professionista, ovvero Giorgio Bianchi, giornalista più volte nella sua carriera inviato nel Donbass, Queste le sue parole sulla situazione in Kazakistan:
“Il tentativo di rivoluzione colorata in atto in queste ore in Kazakistan non fa che confermare quello che sostengo da tempo, ovvero che la fine della pandemia coinciderà con l’inizio di una crisi diplomatica epocale con il Cremlino, che potrebbe addirittura sfociare in un confronto aperto. La militarizzazione delle società europee non è un provvedimento di sanità pubblica, ma una sorta di addestramento in previsione di un conflitto. Siate pronti a tutto, la situazione potrebbe precipitare in qualsiasi momento, la narrazione pandemica comincia a fare acqua da tutte le parti, è giunto il momento di cambiare spartito emergenziale”.