Due giorni fa presi di mira i siti di propaganda della nuova giunta. Il gruppo Myanmar Hackers ha interrotto l’accesso al sito della Banca centrale birmana, la pagina Web di propaganda militare e quello della televisione statale Mrtv. Contemporaneamente il segretario generale Guterres denuncia “la forza brutale” dell’esercito birmano contro i dissidenti e chiede alle forze armate “di cessare immediatamente la repressione, di rilasciare i prigionieri e di porre fine alla violenza”, ha detto in un videomessaggio. In Ue, l’Alto rappresentante Borrell condanna la “violenza crescente dopo il golpe militare“. E dal Consiglio Esteri esce una posizione netta: “L’Ue è pronta a misure restrittive verso i diretti responsabili”, cercando di evitare “ripercussioni negative” sulla popolazione.
Per comprendere meglio, facciamo un piccolo resoconto dei fatti recenti. Pechino si oppose alla risoluzione del Consiglio di sicurezza. Aung San Suu Kyi agli arresti fino al 15 febbraio; e fu proprio la Francia che propose le sanzioni Ue: vi ricordate? Pechino stoppa quindi la bozza di risoluzione Onu che condanna il golpe in Myanmar, negando ufficialmente il suo sostegno all’ex candidata democratica birmana. Il Consiglio di sicurezza si era riunito il 2 febbraio, con l’intento di chiedere il ripristino della democrazia nel Paese, il rispetto dei diritti umani e il rilascio di tutti i prigionieri politici, a cominciare da Aung San Suu Kyi, che era stata presa in custodia dall’esercito.
A sua volta, anche, l’ex presidente Win Myint, andò agli arresti, è fu accusato di aver violato la legge sulla gestione delle catastrofi naturali, per aver tenuto un comizio nonostante i divieti in vigore per contenere il Covid-19. Anche lui rischia 3 anni di prigione.
Da allora nella più grande città del Myanmar, Yangon, però, i segni di resistenza e disobbedienza civile sono aumentati, in risposta all’appello lanciato da Suu Kyi a non arrendersi ai generali: sembra proprio una primavera birmana!
Pechino si trova così costretta a difendersi dall’accusa di sostenere il golpe in Myanmar. Il ministero degli Esteri ha rigettato l’ipotesi: «In quanto Paese amico del Myanmar, desideriamo che le parti possano risolvere adeguatamente le loro divergenze e sostenere la stabilità politica e sociale», ha detto il portavoce Wang Wenbin in risposta a una domanda in un briefing, esprimendo irritazione per la fuga di notizie sulla discussione interna al Consiglio di sicurezza.
La democratica neoliberale Aung San Suu Kyi sostenute da tutte le forze internazionali “democratiche” presumibilmente non avrebbe avuto bisogno di alcuna alterazione del procedimento elettorale, come di fatto accadde lo scorso Novembre in occasione delle più discusse elezioni presidenziali della storia degli USA; ciò nonostante, la manifestazione di Capitoll hill fu registrata e sbolognata dai media come un golpe di stato, un attentato alla “democrazia”; eppure si fa presto a dire democrazia!
Anche Europa con il suo altissimo consiglio ha adottato oggi conclusioni in cui condanna con la massima fermezza il colpo di Stato militare perpetrato in Myanmar/Birmania il 1 febbraio 2021 e sottolinea che l’UE è al fianco della popolazione del Myanmar/Birmania.
Arriviamo ad oggi: sebbene Usa ed l’UE siano disposte a sostenere il dialogo con tutte le principali parti interessate per risolvere la situazione, il Consiglio ha dichiarato che l’UE è pronta ad adottare misure restrittive nei confronti dei responsabili diretti del colpo di Stato militare e dei loro interessi economici. Al tempo stesso, con l’evolversi della situazione, l’UE continuerà a riesaminare tutti gli strumenti strategici di cui dispone, compresa la sua politica di cooperazione allo sviluppo e le sue preferenze commerciali.
Da Bruxelles, in data 22 feb 09:27 –apprendiamo da Agenzia Nova – L’Unione europea deve reagire alla violazione dei diritti umani e agli attacchi ai dimostranti pacifici in Myanmar.
Non trapelano notizie ufficiali che riguardano la ricezione degli eventi da parte soprattutto della comunità intellettuale birmana, legata da vincoli storici alla tradizione e ai valori del paese, e che secondo alcune indiscrezioni “sfuggite” alla censura democratica, sembrano sostenere, invece, la manovra dei militari birmani, in quanto, manovra tesa a invalidare un risultato disonesto, e a ristabilire, così, un processo elettorale democratico non inficiato e corrotto, attraverso specifiche avanguardie tecnologiche. Insomma da Dominion non si esce! E fu subito democrazia!