Il Consiglio dei ministri ha approvato all’unanimità il nuovo decreto che estende il green pass a tutto il mondo del lavoro, pubblico e privato, dal 15 ottobre al 31 dicembre. Un evento tutto italiano, che la politica, gli organi informativi ed anche personaggi appartenenti al mondo della scienza ufficiale stanno tendendo a far passare agli occhi dell’opinione pubblica come un faro di luce nel cuore dell’Europa. Così ha commentato tale gestione della pandemia l’italo-americano Fauci: «L’Italia sta andando bene, meglio degli Usa, ora è diventata un esempio per il mondo». Subito a seguire il Ministro della Pubblica amministrazione Brunetta si è riallacciato al pensiero dell’immunologo statunitense: «Concordo con il professor Fauci: l’Italia si pone all’avanguardia nel mondo e dobbiamo essere di questo grati al presidente Draghi che ha tenuto la barra e non ha mai mollato». Come non poteva mancare una dichiarazione anche del Ministro Speranza, il quale in occasione della conferenza stampa alla fine della riunione del Cdm ha spiegato: «Il dl Green pass darà ulteriore spinta verso ripartenza». Insomma, la scelta è stata condivisa in pompa magna dalla quasi totalità della classe politica italiana, e se c’era qualche disaccordo interno al governo è stato risolto con il voto favorevole della Lega. Questa l’ultima dichiarazione a Radio 24 del leader del Carroccio, Matteo Salvini, sulla questione: «Se quaranta milioni di italiani hanno volontariamente scelto di vaccinarsi e se chi non l’ha ancora fatto e non vuole farlo ha garantito il diritto alla vita, allo studio e al lavoro, io sono felice». Quello che in molti vedono come il lume europeo è di fatto una strada prevalentemente italiana e non perseguita, almeno attualmente, dalla maggior parte dell’UE.
Cosa prevede però nello specifico tale decreto? La certificazione sarà obbligatoria per i lavoratori della Pubblica amministrazione, delle aziende private e persino per gli autonomi (baby sitter, colf, badanti). Per il momento rimane solo l’incognita dei lavoratori in smart working. L’avvenuta vaccinazione o il tampone negativo (a pagamento per i non esentati dalla vaccinazione) diventano gli unici requisiti per poter esercitare liberamente la propria professione. Per i datori di lavoro che non provvederanno a fare i controlli sono previste sanzioni da 400 a 1000 euro, mentre per i dipendenti pubblici che trasgrediscono è prevista una cifra che va dai 600 ai 1.500 euro. In assenza di certificato verde non si può essere licenziati ma solo sospesi, questo è il punto chiave. L’astuzia del governo sta nel presentare tale decreto con le giuste parole: “chi non ha il green pass non può essere licenziato”. Che ci sia in atto una tecnica illusoria per allentare la tensione? Che sia la tanto citata negli ultimi tempi “finestra di Overton”?
Per il momento rimangono solo dubbi di una parte di popolazione, specialmente di quella fortemente scettica nei confronti della vaccinazione, ma d’altronde non si può non constatare l’ipocrisia della rassicurazione del non licenziamento. A prescindere dalla presunta data di scadenza del 31 dicembre, ciò che una strenua parte di sostenitori della liberà di scelta denuncia è il gioco che c’è dietro l’arte dell’oratoria, ovvero: un obbligo indiretto. Impedire, anche se soltanto per meno di 3 mesi, il diritto di lavorare ad un padre o una madre di famiglia, significa indurre forzatamente quelle persone all’idea della vaccinazione come unica alternativa per poter mandare avanti la propria vita e quella dei propri figli. Specialmente perché molti cittadini affermano di non potersi permettere di pagare 15 euro per un tampone ogni 3 giorni, vista la durata di 72 ore del tampone. Esempio lampante della situazione, una donna protagonista di un fatto di cronaca recente: un’operatrice scolastica di Imperia di nome Laura Muratore, dipendente dell’Istituto di Istruzione Superiore Ruffini. La donna è stata allontanata dal luogo di lavoro tramite intervento delle forze dell’ordine, perché non in possesso del certificato verde. Così si è giustificata la Muratore: “Ho bisogno di lavorare per mantenere la mia famiglia. Non posso permettermi di spendere ogni due giorni i soldi per fare il tampone”. Questo è solo uno dei tanti casi che in questi giorni, oltre a far discutere, stanno facendo emergere il forte contraddittorio della politica del lasciapassare.
L’arte del ben parlare non ha però fermato il dissenso neanche nelle piazze. Infatti contro l’estensione dell’obbligo anche ai posti di lavoro si terranno diverse manifestazioni nei prossimi giorni.
A Genova da Venerdì 17 settembre alle ore 10.30 in via Balbi con studenti, insegnanti e personale scolastico, fino ad una manifestazione Sabato 18 settembre alle ore 16 in piazza De Ferrari.
Sabato 18, a Milano, in seguito al divieto del corteo da parte del questore, ci sarà un presidio fisso all’Arco della Pace.
A Pavia, sempre Sabato 18 si svolgerà il No Paura Day dalle h 16:00 in Viale Matteotti.
Mentre Sabato 25 nella Capitale si prevede una forte mobilitazione presso piazza San Giovanni dalle ore 15:00 e tra le numerose sigle che organizzano l’evento spuntano nomi come “Ancora Italia”, “No paura day”, “Movimento 3V” e “Fronte del Dissenso”.