Il rapper Pablo Hasél condannato per apologia di terrorismo e oltraggio alla corona. Pablo Hasél si era barricato all’Università di Lleida, quando la polizia fece irruzione con la forza per arrestarlo, con l’accusa di terrorismo e vilipendio nei confronti della corona. Amnesty International ha twittato che l’arresto di Hasél è stata una terribile notizia per la libertà di espressione in Spagna.
Pablo Hasél si era barricato all’Università di Lleida, quando la polizia fece irruzione con la forza per arrestarlo, con l’accusa di terrorismo e vilipendio nei confronti della corona. Una vicenda che al di là delle vicissitudini specifiche nelle sue dinamiche di contesto lascia sbigottiti, specie se si pensa che un tempo nelle università le forze dell’ordine non potevano neanche entrare!
Nei suoi testi, il rapper spagnolo Pablo Hasél si riferisce al re emerito Juan Carlos I come un “boss della mafia” e un “tiranno ubriaco” e accusa la polizia di aver torturato e ucciso manifestanti e migranti.
Hasél è stato arrestato questo martedì dalla squadra Mossos nella città di Lleida, a 150 km da Barcellona, nel nord-est della Spagna, con l’accusa di “glorificare il terrorismo” e insultare la monarchia.
La polizia è entrata nell’università di Lleida dove il giorno prima il musicista (il cui vero nome è Pablo Rivadulla Duro) si era barricato con dozzine di sostenitori, per evitare di scontare una pena detentiva. Un portavoce della polizia catalana ha detto all’agenzia di stampa AFP che gli agenti erano entrati nell’università per “far rispettare la decisione giudiziaria”.
Il rapper è stato condannato a nove mesi di carcere anche per i suoi testi e messaggi su Twitter in cui attacca la monarchia e la polizia. Nell’affrontare la quarta sentenza a lui inflitta, i giudici spagnoli hanno ora decretato la sua carcerazione. L’arresto del musicista ha scatenato proteste in diverse città catalane, compresa Barcellona, che si sono concluse con scontri tra polizia e manifestanti. Lunedì il Tribunale nazionale spagnolo ha nuovamente respinto la sospensione dell’esecuzione della pena, ricordando che nel 2017 è stato condannato per un reato di resistenza alle autorità.
Nella sentenza che lo ha condannato nel 2011, il tribunale spagnolo ha ritenuto che la libertà di espressione non tutelasse “l’incitamento all’odio” e lo ha condannato per aver incluso nei suoi testi espressioni come “no me da pena tu tiro en la nuca”.
Il rapper avrebbe dovuto costituirsi la scorsa settimana, ma ha sfidato gli ordini della polizia. Quasi due ore dopo che la polizia è entrata nell’università ed Hasél è stato scortato fuori dal complesso mentre gridava “non ci faranno mai tacere, morte per lo stato fascista”.
Più di 200 artisti, tra cui il regista Pedro Almodóvar e l’attore Javier Bardem, hanno firmato una petizione contro la sua condanna, che è stata confermata lunedì da un tribunale spagnolo. Perfino la filantropica associazione Amnesty International ha twittato che l’arresto di Hasél è stata una terribile notizia per la libertà di espressione in Spagna.
Andrò in prigione “a testa alta”, ha twittato Hasél la notte prima del suo arresto. “Non possiamo permettere loro di dettare quello che possiamo dire, quello che possiamo sentire o quello che possiamo fare”, ha detto.
Bè che dire!? Fermo restando che la libertà di espressione dovrebbe essere un diritto sancito dalla Costituzione e garantito dalla Carta dei diritti sull’uomo, e che ognuno debba avere la libertà di esprimere ciò che vuole e nel modo in cui ritiene più opportuno, salta all’occhio però, che in questi tempi bui per la democrazia, si viene ostracizzati, radiati dall’albo o peggio rinchiusi in manicomio per molto meno, e senza alcun clamore né riconoscimenti di sorta da parte di grandi associazioni filantropiche. Derisi e/o vessati mediante un marchio; Un’etichetta indelebile quella di colui che negherebbe qualcosa solo perché afferma qualcos’altro; colui che dissente da una narrazione ufficiale che, ormai, comincia a stare stretta a parecchi.
Alessandra Gargano Mc Leod