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Il riarmo italo-tedesco non è quello che sembra.

Da quando è iniziata la guerra in Ucraina, Germania (di più) e Italia (di meno) si sono contraddistinte in un atteggiamento che, al di fuori delle obbligatorie parole forti, è stato piuttosto prudente – almeno inizialmente – rispetto a quello di altri membri della NATO come Polonia e Regno Unito.

Da quando è iniziata la guerra in Ucraina, Germania (di più) e Italia (di meno) si sono contraddistinte in un atteggiamento che, al di fuori delle obbligatorie parole forti, è stato piuttosto prudente – almeno inizialmente – rispetto a quello di altri membri della NATO come Polonia e Regno Unito. Dalla guerra fredda fino all’era putiniana, Germania e Italia sono sempre stati ritenuti i “paesi del dialogo” con la (ex) superpotenza avversaria, e non hanno sorpreso quindi le iniziative (fallimentari) per evitare la disconnessione delle banche russe dallo SWIFT, quelle – per il momento riuscite – di escludere il comparto energetico dalle sanzioni e la frenata tedesca su ogni prospettiva di entrata dell’Ucraina nell’UE o di istituzione di una no-fly-zone.

Sia Italia che Germania, però, hanno annunciato dei massicci piani di riarmo che puntano a raggiungere e superare – nei prossimi anni – la quota del 2% di spesa militare rispetto al PIL, che oggi si attesta per entrambe le nazioni sotto l’1,5%.
Ascoltando le dichiarazioni questi piani di riarmo potrebbero sembrare la semplice reazione ad una Russia più assertiva e quindi in sostanza un mero aumento dell’impegno sul fronte orientale della NATO.

C’è però una considerazione da fare: le risorse militari per difendere il fronte orientale della NATO (e dell’UE, includendo la Finlandia) da un’ipotetica – quanto improbabile – invasione russa, sono già più che sufficienti.

Inutile dire che sia la NATO che l’UE siano alleanze militari nucleari, e che quindi l’avversione che stanno dimostrando in questi giorni al causare un aperto conflitto con la Russia sia facilmente corrisposta a Mosca. Se anche il Cremlino non ritenesse credibile il deterrente nucleare americano o francese, basterebbero ampiamente le forze convenzionali.

Addirittura, potrebbe esserci ragione di credere che sia la Finlandia – con i suoi 90mila regolari e le sue 900mila riserve attive, supportati da una delle forze di artiglieria più temibili d’Europa – che la Polonia – con i suoi 160mila regolari e 100mila riserve, numero che raddoppierà nel prossimo decennio – possano difendersi da sole da una forza russa che conterebbe al massimo 300mila uomini, numero già superiore a quello attualmente impiegato in Ucraina, dove l’avanzata ha avuto un successo limitato e dove sicuramente non ci sono le prospettive per un’occupazione dell’intero paese.

Le forze armate russe non hanno, neanche lontanamente, la capacità di coprire un fronte di 4mila kilometri con l’UE; non hanno, neanche lontanamente, la capacità di stabilire una qualche forma di superiorità aerea scontrandosi con sistemi di difesa aerea e caccia f-22 ed f-35.

Tutti questi calcoli vengono fatti al netto di migliaia di truppe americane e NATO in est europa e di task force per la risposta rapida di decine di migliaia di uomini che sarebbero operative nei teatri di guerra già nel primo mese di operazioni.

La “minaccia” dell’invasione convenzionale russa di un paese UE è semplicemente ridicola, ed è curioso che ad agitarla siano tendenzialmente gli stessi che sostengono che in Ucraina le forze armate russe stiano vivendo una Stalingrado quotidiana e siano (dal primo giorno di guerra) sull’orlo del collasso.

Se esiste un punto di vulnerabilità nell’UE o nell’alleanza atlantica, è certamente la difesa dei paesi baltici.

È vero, teoricamente un attacco russo e bielorusso potrebbe portare ad un’occupazione dei baltici, visto il bilanciamento di forze su quel fronte. È anche vero però, come è stato illustrato sopra, che i paesi NATO e UE una volta mobilitati riuscirebbero a riconquistarli altrettanto facilmente, con conseguenze catastrofiche per la Russia.

Se esiste un problema, dunque, è solamente politico: UE e NATO non credono nella solidarietà e nella volontà di intervenire dei rispettivi paesi? Il patto di mutua difesa inserito nei trattati UE è per giunta obbligatorio e vincolante, diversamente dall’articolo 5 della NATO, in tal caso saremmo davanti ad un grosso problema. Ma è un problema che non si risolve mandando qualche migliaio (o più probabilmente, centinaio) di italiani e tedeschi sparpagliati tra Estonia e Romania. È un problema politico.

Questo ci porta a fare delle considerazioni: quali sono i reali motivi e le reali implicazioni del riarmo italo-tedesco?

L’opinione di chi vi scrive è che si sia colta la facile occasione della guerra in Ucraina per far digerire alle rispettive comunità politiche quello che era già previsto da anni nell’establishment della politica estera, e che poco ha a che fare con scenari da guerra fredda.

L’Italia e la Germania hanno più volte subito negli ultimi 20 anni la loro totale inconsistenza dal punto di vista militare, in particolare nello scenario del mediterraneo. Indubbiamente il problema, anche in questo caso, non è stato solamente di mezzi ma anche di volontà. L’abbandono di Gheddafi, l’inazione nella successiva guerra civile e la docilità nei confronti della Turchia che impedisce all’ENI di accedere ai suoi depositi al largo di Cipro sono stati errori in primis politici, ma è anche vero che uno strumento militare più efficiente avrebbe potuto cambiare i calcoli dei decisori politici.

Il riarmo quindi, anche se viene venduto come un atto incondizionatamente a favore della NATO, va invece visto in funzione della competizione all’interno della NATO che, soprattutto una potenza economica come la Germania, non può più permettersi di ignorare. Pietro Pinter – Direttore del Blog e del Canale Telegram Inimicizie

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