Quale è la vera origine delle proteste in Cina? Come queste possono incidere sul ruolo geopolitico del primo paese più popoloso al mondo? Viene minata la capacità cinese di ambire a essere la potenza egemone?
Sono state molte le ipotesi dietrologiche girate nel web negli ultimi giorni. A volte tanto imbarazzanti quanto lo è la posizione del mainstream internazionale: in bilico tra due tesi opposte. Da una parte la condanna della Repubblica Popolare Cinese, allo scopo di alimentare il fuoco delle proteste, come già fatto di recente con l’Iran. Dall’altra una strana forma di autocondanna del mainstream che per più di due anni (ed in alcuni casi tutt’ora) ha foraggiato e giustificato privazioni dei diritti non molto distanti da quelle oggetto delle folle cinesi.
A seguito di questo corto circuito, sono molti gli aspetti che finiscono in secondo piano perché tralasciati. Compromettendo così qualunque analisi e valutazione che, di conseguenza, risulterebbe non aderente ad una realtà pressoché inconcepibile per noi occidentali.
Quindi, piuttosto che unirci alle scimmie e ai pappagalli nello zoo della controinformazione, preferiamo defilarci da un dibattito ormai privo di ogni significato, proponendoti un breve estratto dall’intervento di Dario Fabbri a Trentino 2060. L’evento, tenutosi a Borgo Valsugana, ha visto l’esperto di geopolitica descrivere nel dettaglio, già lo scorso luglio, i fattori endogeni ed esogeni che più di tutti possono incidere sul futuro politico e geopolitico del gigante rosso. Alla luce dei fatti di oggi, potrebbe non esserci andato lontano.
Estratto da “Trentino 2060 – GEOPOLITICA DI OGGI E DI DOMANI con Dario Fabbri“
La Cina ha essenzialmente gli stessi problemi quasi da sempre. Ha una costa molto progredita, dove vivono due terzi della popolazione. Ed è una parte del paese che vive, ormai da un paio di decenni, una fase di eccezionale espansione e in cui la popolazione ha aumentato di gran lunga il suo livello di benessere. Qui, la società si avvia quasi a una forma post-industriale, sebbene non del tutto, siamo ancora in piena industrializzazione. Ma la tendenza è quella: verso produzioni dal valore aggiunto maggiore.
Il resto del paese, l’entroterra della Repubblica Popolare Cinese, è più o meno arretrato come non riusciamo a immaginarlo da qui. Per chiunque abbia viaggiato un po’ per la Cina e vi si sia addentrato, la spaccatura che c’è tra la costa e l’interno fa davvero spavento.
La spaccatura interna della Cina
Questo è uno dei grandi problemi storici della Cina, che vive nella sua storia, se la dovessimo semplificare, come un pendolo tra apertura e chiusura verso l’esterno. Ogni volta che la Cina si è aperta nel corso dei secoli al commercio estero, la costa, più tutta la parte del paese che vive adiacente ad essa, ne ha beneficiato in maniera straordinaria. L’entroterra no.
Questo ha sempre provocato quella spaccatura cui facevo riferimento. Che, allo stesso tempo, ha provocato sommosse dentro al paese. Con un entroterra e una costa che seguono percorsi talmente diversi, il paese diventa incline a essere invaso da potenze esterne, come è capitato nel Medioevo al tempo dei Mongoli. Oppure ancora in precedenza. Oppure vive un‘instabilità interna che conduce la dinastia del momento a chiudere il paese verso l’esterno. Oggi siamo esattamente allo stesso punto.
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Tra le tante ragioni per cui Mao si innamora del comunismo, che con la Cina non c’entrava moltissimo, essendo un’ideologia prettamente occidentale, legata alla società industriale che all’inizio del ‘900 in Cina non esisteva in nessuna maniera. Tra le ragioni principali che convince Mao, ce n’è una strategica: l’economia pianificata. Vista come la soluzione al dramma del secolo precedente, quello che i cinesi chiamano “Il secolo dell’umiliazione”, un secolo a forte ingerenza occidentale, in cui le potenze coloniali si presero concessioni e territori della Cina morente a livello monarchico, peraltro guidata da una dinastia Manciù, di origine esterna.
Tutti dentro e tutti poverissimi
L’idea di Mao era che per evitare le minacce esogene il modo migliore era chiudersi. Era necessario chiudersi e l’economia pianificata permetteva di superare quello stacco tra coste e interno. Tutti dentro e tutti poverissimi, però tutti dentro. Senza scarrellamenti tra una costa che guarda verso l’esterno e un entroterra che muore di fame.
Socialismo di facciata e capitalismo
La Cina che si chiude, arriva a mantenersi omogenea e molto arretrata fino agli anni ‘70, quando torna a un nuovo elemento strategico, ci pensa Deng Xiaoping, quello dell’apertura verso l’esterno. Era cioè necessario aprirsi nuovamente al commercio, fingendo di mantenere un sistema socialista, ma abbracciandone uno capitalista. Perché altrimenti la situazione economica è troppo drammatica anche sulla costa.
L’implosione è inevitabile?
Sapendo, con grande consapevolezza, che la Cina, quando si apre verso l’esterno, crea questo vuoto al suo interno. Questo stacco pericoloso che poi conduce di solito alle rivolte dalla campagna alle città. La stessa rivoluzione maoista è una rivolta che dalle campagne punta alle città.
La Cina oggi: sull’orlo del baratro?
Oggi la Cina si trova quasi allo stesso livello, con una costa davvero progredita, forse la più progredita che la società cinese abbia visto, per il distacco che ha verso l’entroterra. L’entroterra più o meno è arretrato come più volte è capitato nella storia cinese, ma forse questo distacco dalla costa non l’aveva mai vissuto. Oppure sì e quando è successo è capitato che il paese crollasse, che implodesse al suo interno per invasione esterna o per rivoluzione interna.
Questo è il primo elemento che la Cina, se vuole diventare una grande potenza del futuro deve saper superare. Che ne abbia le capacità o meno, non c’è mai riuscita nella sua storia e perché lo debba fare adesso è tutto da dimostrare.
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